IMPRINTING ed EPIGENETICA
La nuova scienza denominata Epigenetica ha rivoluzionato le vecchie credenze rispetto l’immodificabilità delle risposte genetiche di base e del corredo genetico stesso. La genetica per molti anni ci ha informati che ciascuno di noi possiede un proprio bagaglio genetico fisso e sulla base di quello l’uomo si costruisce e si plasma nelle sue parti fisiche e psicologico-comportamentali. La variazione genetica dipendeva così solo dalla combinazione e ricombinazione del patrimonio trasmesso dai nostri predecessori e giunto a noi. La genetica non ha mai fatto mistero della capacità di ricombinazione selettiva soggettiva ma ha sempre dichiarato che non vi era possibilità alcuna di modificare il gene nelle sue risposte o compiti specifici. L’epigenetica compie un salto quantico in ambito scientifico: essa mette in luce in modo evidente e scientificamente provato che le risposte geniche possono modificarsi sotto l’influenza degli stimoli o input ambientali. In pratica un determinato input ambientale precoce, nelle primissime fasi della vita di un individuo, può modificare un dato fisiologico o e un comportamento trasmesso geneticamente. Non è cosa da poco…
La formazione di un individuo quindi è plasmata dalle fasi precoci della vita. Sono le prime esperienze, quando siamo ancora nel grembo materno, che modellano i sistemi di regolazione fisiologica e tra essi soprattutto il sistema dello stress; lasciando impronte che permarranno nel tempo, nelle successive fasi della vita.
Data l’importanza resto sull’argomento.
Si è visto che situazioni fortemente stressanti vissute dalla madre e o dal feto alterano le traiettorie di sviluppo di specifiche strutture cerebrali, con effetti che persistono nel tempo. L’ormone dello stress è il cortisolo. Un eccesso di cortisolo riduce il peso del bambino alla nascita e lo espone a una sensibilità allo stesso che gli farà avere una minor resistenza allo stress da adulto, e lo esporrà al rischio di malattie cardiovascolari o e al diabete, con un’incidenza quasi doppia rispetto chi ha livelli di cortisolo equilibrati. L’esposizione al cortisolo in utero ha effetti sulla struttura degli ormoni e sulla formazione delle sinapsi. Il cortisolo a livelli normali promuove il metabolismo ma a dosi eccessive causa il blocco della crescita e anche la morte della cellula; da qui il basso peso alla nascita dei bambini e la programmazione di malattie da adulto. E’ stato dimostrato anche che piccole e ripetute dosi di stress, che mimano la cronicità dello stesso, (distress), sono più dannose di una singola dose elevata di stress. L’ipotalamo e l’ippocampo, che è il suo regolatore, sono sensibili al cortisolo e ne sono anch’essi condizionati. Vi è così una diminuzione dei recettori che causerà un difetto nella regolazione dell’asse dello stress. Tale sistema viene configurato dal primo ambiente di vita del bambino. Questa configurazione dell’asse ipotalamo-ipofisario-surrenale conferirà all’individuo la sua specificità biologica che si tradurrà nella sua reattività individuale agli stimoli stressanti e quindi influenzerà i suoi comportamenti. Una sovraesposizione al cortisolo in utero, porterà in tal modo ad una alterazione del comportamento da adulto; inoltre lo stress prenatale programma un aumento dei comportamenti d’ansia. Possiamo intuire così che esiste una programmazione, un imprinting precocissimo che indurrà l’amigdala (cuore delle risposte emozionali) ad essere programmata ad attivarsi più rapidamente e con maggiore forza di fronte a stimoli stressanti.
Lo stress e la depressione incrementano il cortisolo nei bambini in utero e nelle primissime settimane di vita. Si è visto che nei bambini di 4 anni lo stress materno è in grado di far salire di molto il livello di cortisolo, ma solo se questi erano stati programmati, se cioè nelle prime fase della loro vita erano stati esposti a un forte e continuo stress materno. I bimbi non esposti allo stress materno nei primi mesi di vita non incrementavano il livello di cortisolo. I bimbi con un’alterazione dell’asse dello stress presentano spesso maggiori difficoltà emotiva e comportamentali che diventano pesanti se la famiglia è in condizioni socioeconomiche precarie.
Questo significa che è di estrema importanza l’imprinting dei primi mesi di vita del bambino.
Fin qui abbiamo visto gli effetti negativi del distress materno sulla programmazione di fondamentali circuiti biopsichici del bambino. Ma ci sono anche effetti positivi del comportamento materno e genitoriale. Vediamoli.
E’ da tempo dimostrato che l’accarezzamento, un significativo contatto fisico corporeo col bambino, incrementa permanentemente l’espressione dei recettori ippocampale questo aumenta il controllo dell’asse dello stress e garantisce un buon adattamento allo stress ambientale. La stimolazione cutanea attiva, nel piccolo, vie nervose ascendenti produttrici di serotonina e ossitocina facendo una carezza all’ippocampo e incrementando l’espressione dei recettori per il cortisolo. Ma la cosa più straordinaria è che un neonato accarezzato diventerà un genitore “ carezzante”. Questo significa che VIENE TRASMESSO UN COMPORTAMENTO CHE MODIFICA L’ESPRESSIONE DEI GENI.
Il comportamento materno a elevato livello di cura della prole induce un aumento dell’espressione dei geni che comandano la produzione di recettori per gli ormoni dello stress. Le carezze inducono un maggior controllo dell’asse dello stress!
Ciò significa che non è questione di trasmissione di geni, bensì di selezione dell’espressione genica nel neonato, in conseguenza di un comportamento materno. La conferma di questo l’abbiamo in un esperimento (un programma della canadese Mc Gill su comportamento geni e ambiente) compiuto su un campione di bambini che alla nascita erano stati affidati a madri “carezzanti” e avevano sviluppato un temperamento “carezzante” nonostante le madri biologiche avessero tutt’altro stile (e con ciò un patrimonio genetico di tal fatta…). Ci troviamo di fronte alla prima dimostrazione sperimentale di una programmazione AMBIENTALE dell’espressione genica. E’ la prova di una trasmissione intergenerazionale di un comportamento adattivo.
Ora, per concludere, possiamo comprendere che il network dell’essere umano e dell’animale inizia a formarsi e a configurarsi precocemente all’interno della rete di input che invia l’ambiente naturale, familiare, sociale, che nella prima fase della vita si presenta nella forma di ambiente materno. E che l’epigenetica ci offre una visione assai meno monolitica della struttura e funzione del nostro patrimonio genetico, avvicinandoci a un’immagine dell’uomo più complessa; egli è un tutto interconnesso, e si muove in una rete di scambio interno esterno in modo plastico: il sistema nervoso, endocrino, immunologico e psicologico lavorano in una rete di scambio che si dispone a modificazioni continue sulla base degli input ambientali e viceversa in modo binario.
Adesso più che mai sappiamo che l’ambiente materno e più in generale l’ambiente che accoglie il bambino e risponde a esso e ai suoi bisogni nei diversi modi, può modificare, le risposte geniche e in parte il conseguente patrimonio comportamentale preesistente e futuro.
Antonella Zecchi 2013
Riferimenti bibliografici:
Francesco Bottacioli, Psiconeuroendocrinoimmunologia, Red Ed. Milano 2006
B. Lipton, La biologia delle cerdenze, Macro Edizioni
D. Siegel, La mente relazionale, Cortina Raffaello ed, 2001.